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Come
quasi tutte le fiere che affondano le loro origini nel Medioevo, anche
quelle di Grottaferrata hanno iniziato verosimilmente in concomitanza
di importanti feste religiose che attiravano folle di fedeli. La
necessità di ristorare un gran numero di persone richiamava
mercanti di viveri e merci specie se il luogo del raduno era lontano
dai centri abitati, come nel caso di Grottaferrata. I mercanti accorsi
finivano anche per scambiarsi merci tra loro dando origine a mercati a
date fisse coincidenti appunto con feste religiose e che, dal latino
feria (festa), presero il nome di fiere.
Nel 1024, vent’anni dopo la fondazione dell’abbazia
di S.
Maria da parte di S.Nilo da Rossano, fu annessa al monastero la chiesa
di S. Maria che assai presto fu meta di pellegrinaggi sempre
più
frequentati, in particolare dopo che, agli inizi del secolo XIII, due
papi concessero importanti indulgenze a chi visitava la chiesa nelle
domeniche e nelle feste della Madre di Dio la cui icona, salvatasi
dall’incendio di Tuscolo, ancor oggi presente
sull’altare
maggiore, fu qui trasferita.
La festa dell’Annunciazione di Maria (25 marzo) e quella
della
sua Natività (8 settembre) divennero occasione privilegiata
per
gli scambi di merci legate a due epoche fondamentali delle
attività di contadini e di allevatori. Animali vivi e carni
salate erano, e sarebbero rimaste fino alla metà del XIX
secolo,
le merci più vendute, ma anche suppellettili domestiche e
utensili agricoli erano largamente offerti.
Chi partecipava alla Fiera si adornava di una rosa finta con
pennacchietto di vetro filato: le donne lo portavano tra i capelli, gli
uomini sul cappello.
Le fiere divennero occasione di divertimento con la partecipazione di
saltimbanchi, di attori girovaghi, di prestigiatori e di suonatori
ambulanti. Dame e cavalieri e personaggi di alto rango politico e
religioso partecipavano alla Fiera come ad un’occasione di
ritrovo mondano. Una tela dipinta da Agostino Tassi nel 1600 raffigura
la Fiera di Grottaferrata come una grande festa campestre in cui dame e
cavalieri si ritrovano assieme ai popolani in quello che potremmo
definire un allegro picnic. L’aspetto ludico della Fiera
è
stato soggetto, in seguito, delle opere di numerosi pittori e incisori.
A proposito della tela del Tassi va notato che, nonostante essa
rappresenti in modo evidente la Fiera di settembre, la data della sua
esecuzione fu stranamente scelta nel secolo scorso come data iniziale
convenzionale della Fiera di marzo.
Nei suoi Commentarii, ove si trova la prima testimonianza scritta
finora rinvenuta sulle fiere di Grottaferrata, Pio II, parlando di una
sua visita all’Abbazia di Grottaferrata in occasione della
Natività di Maria del 1463, nota che raramente la Fiera
“termina raramente senza fatti di sangue, dato che il popolo
trasuda vino” (nundinae…., vino madente plebe,
raro sine
caede peraguntur). Per i responsabili del buon andamento delle fiere il
problema della sicurezza, insidiato dall’abbondante scorrere
del
vino dei Castelli, sarebbe stato prioritario sino quasi ai nostri
giorni: lo testimoniano i numerosissimi documenti pervenutici relativi
alla richiesta di rinforzi di sbirri e gendarmi al tempo del potere
temporale dei papi, e, dopo l’unità
d’Italia, di
carabinieri e guardie di pubblica sicurezza.Sino
alla metà del XVIII secolo fu la Fiera di settembre ad avere
una
netta preminenza su quella di marzo per concorso di popolo e di merci.
In seguito, dopo un periodo in cui si equivalsero, già dalla
metà dell’Ottocento fu certamente la Fiera di
marzo ad
attrarre maggiormente mercanti, acquirenti e semplici visitatori. A
settembre, forse per il diffondersi della moda delle vacanze estive, e
per la concomitanza di importanti fiere nazionali sorte nel XIX secolo,
la Fiera di settembre ha visto un lento ma inesorabile declino, sino
alla sua completa estinzione dal punto di vista commerciale:
attualmente essa è degnamente sostituita dalla rievocazione
storica della Fiera stessa che, a cura di due associazioni culturali
locali, si tiene nel cortile dell’Abbazia di S.Nilo con la
denominazione di ’Na vota c’era. La
definitiva
consacrazione dell’importanza della Fiera di marzo fu data
dalla
decisione, presa dall’ E.N.P.I (Ente Nazionale Prevenzione
Infortuni) nel 1966, di sceglierla come luogo per la promozione di
macchine agricole, adatte a zone collinari e scoscese, dotate di
requisiti di particolare sicurezza e manovrabilità. Un
concorso
nazionale dotato di ricchissimi premi, che vide la partecipazione di
decine di ditte costruttrici di macchine agricole, la
riorganizzazione della Fiera per settori merceologici, la costituzione
di un comitato organizzatore di alto profilo, la pubblicazione di un
apposito “Bollettino della Fiera” valsero a quella
di marzo
il decreto ministeriale di riconoscimento quale Fiera nazionale con la
denominazione di Fiera Nazionale di macchine agricole e di prototipi
per la lavorazione dei terreni declivi.
Con la nuova denominazione di Fiera nazionale dell’agricoltura, commercio artigianato e piccola industria (19à) più consona al mutarsi degli interessi economici, e con manifestazioni collaterali, culturali, sportive, artistiche, che la accompagnano si è voluto imprimere alla Fiera di marzo un nuovo impulso, rendendola più rispondente alle esigenze della vita contemporanea.L’esposizione delle merci iniziata all’ombra dell’Abbazia, con lo svilupparsi di Grottaferrata da borgo ad autonomo Comune (1848), ha occupato le due principali strade del centro cittadino, il Corso e l’ Olmata, ora viale S.Nilo. L’area impegnata si è andata via via ampliando e per la prima volta nel 1985 ci si è avvalsi di padiglioni in tensostrutture. Dal 1996 la Fiera ha trovato sede in un’ampia zona pianeggiante che si apre su viale S.Nilo estendendosi attualmente per una superficie di 14.000 mq di cui 12.000 coperti da tendostrutture.